L’Istituto Amaretti venne fondato nel 1866 a Poirino. 
Erano quelli, come anche i cinquanta precedenti, anni di grandi cambiamenti politici e culturali: si era passati da Napoleone alla Restaurazione, quindi alla nascita del nuovo Stato Italiano. 
Avvenimenti che probabilmente avevano di poco cambiato e toccato la vita dei paesi di campagna, ma pur sempre portatori di innovazioni. Uno dei più grandi cambiamenti che si verificarono all’epoca fu proprio in campo scolastico-educativo. In Piemonte comunque la scuola era e rimase a lungo affidata praticamente agli ordini religiosi. 
Lo Stato Sabaudo aveva già laicizzato la scuola fin dal 1729 e nel 1822, dopo la parentesi napoleonica, cercò di dare un assetto organico all’istruzione pubblica. Il processo culminò nella legge Boncompagni del 1848 che affidò allo Stato la gestione delle scuole, rafforzò il controllo sui programmi di insegnamento e sui docenti, impose a tutti i Comuni l’obbligo (ma lasciò loro pure l’onere) di istituire scuole elementari femminili e maschili. Così a favorire l’egemonia del clero nella scuola piemontese contribuirono soprattutto la scarsa sensibilità e le oggettive difficoltà dei Comuni e delle Province a finanziare lo sviluppo dell’istruzione. 
L’iniziativa di aprire nuove scuole, in particolare quelle popolari, partiva ed era sostenuta nella maggioranza dei casi dal clero e non dagli Amministratori locali o dal Governo. I confini tra analfabetismo e pauperismo, tra istruzione popolare e beneficenza, risultavano così di difficile determinazione.

Diverso nella forma ma non nella sostanza fu il comportamento del sovrano Carlo Alberto che, pur non abdicando i suoi diritti nei confronti della Chiesa, ritenne opportuno mettere in atto una sorta di collaborazione fra istituzioni religiose, iniziative private e Autorità statale nel settore della beneficenza e dell’istruzione popolare. 
In una circolare del 1833 del ministro degli Interni, Tonduti De l’Escarene, che affrontava il problema della povertà negli Stati Sabaudi e le relative iniziative di prevenzione ed assistenza, si sottolineava il desiderio del Sovrano di vedere realizzata una perseverante cooperazione tra l’Amministrazione delle opere pie e lo Stato per prevenire le cause della povertà e della criminalità. Tra le principali venivano indicate la nessuna o pessima educazione dei figli dei poveri e la quasi assoluta ignoranza in materia religiosa. Il Sovrano riteneva quindi indispensabile fare affidamento per l’istruzione popolare sulle istituzioni religiose per motivi di ordine morale, organizzativo e non ultimo finanziario. Infatti le istituzioni religiose avevano stabilità e regolarità di principi e motivazioni ideali che difficilmente, secondo il Governo, potevano trovarsi nel personale laico. In appendice la circolare portava alcune notizie sulle Congregazioni religiose che meglio rispondevano ai requisiti richiesti e tra queste compaiono le Suore della Divina Provvidenza (Rosminiane). 
A partire dagli anni ’40, ci fu una svolta e il Governo piemontese diede avvio ad un graduale processo di ristrutturazione del sistema scolastico anche perché l’iniziativa del clero divenne insufficiente. 
Nel 1846 fu emanato il Regolamento sull’istruzione femminile che prescriveva piani di studio obbligatori per le scuole tenute da religiosi e l’obbligo di un esame di abilitazione per tutte le maestre comprese le suore; il nuovo indirizzo non intendeva escludere la Chiesa da ogni responsabilità nella pubblica istruzione, ma voleva garantire l’idoneità didattica e culturale delle insegnanti. 
A partire dal 1848 si manifestò nel Governo piemontese un deciso indirizzo anticlericale i cui momenti più significativi furono: - il controllo statale sull’insegnamento e la progressiva laicizzazione delle scuole pubbliche con la legge Boncompagni del 4 ottobre 1848; - l’abolizione nel 1850 con le leggi Siccardi del foro e delle immunità ecclesiastiche e l’obbligo per i corpi morali di ottenere 1’autorizzazione governativa per gli acquisti e per l’accettazione di donazioni o eredità; - la soppressione delle corporazioni religiose, eccettuate quelle destinate all’assistenza, alla predicazione e alla educazione, (legge Rattazzi del 1855). 
Lo stesso primo ministro Camillo Benso conte di Cavour sottolineò però, durante il dibattito in Parlamento, l’importanza e l’insostituibilità delle organizzazioni religiose per l’assistenza e l’educazione a vantaggio della collettività e dei più umili. 
La legislazione scolastica del decennio 1848-59 sancì il definitivo controllo dello Stato nel settore della pubblica istruzione, tanto che più volte i Vescovi delle diocesi piemontesi dovettero chiedere di rispettare i loro diritti di controllo sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e l’indipendenza dei Seminari. 
Il progetto educativo della Chiesa, comunque, trovò attuazione in quegli spazi che il modello scolastico e sociale liberale aveva trascurato e non era in grado di affrontare con incisività. In particolare i Vescovi già da tempo sostenevano la necessità dell’istruzione elementare nelle campagne e dell’istruzione femminile; l’educazione era vista come momento di promozione umana, sociale e religiosa. 
L’impegno educativo degli istituti religiosi fu notevole, anzi fino agli anni Cinquanta la maggior parte degli insegnanti era formata da religiosi. Particolarmente significativa fu la presenza di istituti religiosi femminili, dovuti anche alla maggiore sensibilità dell’epoca verso i bisogni educativi dell’infanzia e delle donne. 
I Governi piemontesi e la stessa Casa regnante manifestarono maggior favore alle comunità femminili che, numerose, iniziarono la propria attività negli anni Venti e Trenta.

Dopo il 1848 lo Stato ritenne suo diritto stabilire quali istituti religiosi fossero utili alla società e come regolarli; gli istituti svolsero un importante ruolo nello sviluppo della scolarizzazione e della cultura, ma con motivazioni che andavano al di la dell’impegno sociale e civile richiesto dallo Stato. 

Poirino, a quell’epoca, rientrava nella media nazionale; infatti nel 1865 su 6428 abitanti 4270 persone sapevano leggere e 3655 anche scrivere: la scuola elementare femminile dell’Istituto Amaretti nascerà l’anno successivo. 
La struttura della scuola era ancora legata ad una società prevalentemente contadina e quindi forniva ai più soltanto le nozioni basilari del leggere, dello scrivere e del far di conto. 
La legge Gentile del 1923 propose insegnanti più preparati ma subordinati ideologicamente al Governo, sancì l’effettiva separazione tra la classe dirigente e le classi subordinate, creando per queste ultime le scuole complementari e le post-elementari prive di possibili sbocchi scolastici superiori. Queste prevedevano l’insegnamento, accanto alle materie tradizionali, anche della stenografia e della dattilografia; più tardi questi corsi vennero trasformati in scuole di avviamento al lavoro. 
Nel 1939 la Carta della Scuola del ministro Bottai prevedeva la divisione della scuola dell’obbligo in due cicli: un biennio di alfabetizzazione e un triennio chiamato scuola del lavoro: scuola rurale in campagna e scuola artigiana in città. Ma queste intenzioni riformistiche rimasero in buona parte inattuate e tutto fu travolto dalla guerra. 
Le vicende dell’Istituto Amaretti sono, pur nella loro rilevanza prettamente locale, collegate con le complesse realtà dei tempi. 
L’Opera, nata per rispondere ai bisogni di una realtà contadina arretrata e secondo uno spirito di promozione delle classi popolari, divenne poi un caso esemplare perché riuscì a mantenere la propria autonomia e il proprio essere ”scuola a sgravio” fino al 1926 in piena epoca fascista, e anche durante tale periodo rimase al di fuori dell’omogeneizzazione culturale imposta dal Regime. 
Uscita dalla guerra ha contribuito alla diffusione dell’istruzione nel nostro paese, adeguando la propria offerta formativa alle mutate esigenze della società e mantenendo i valori ideali per cui era stata fondata.